I giudici di legittimità sono stati chiamati ad esprimersi (con la sentenza 21 novembre 2019, n. 42788) riguardo i codici a specchio e la pericolosità dei rifiuti.
Si tratta della prima pronuncia dopo la decisione del marzo scorso della Corte di giustizia europea.
Quest’ultima aveva stabilito che il legislatore comunitario debba attuare, in materia di rifiuti, un opportuno bilanciamento fra principio di precauzione, fattibilità tecnica e praticabilità economica delle varie misure di protezione ambientale.
La suprema Corte, rifacendosi ad suddetti dettami, può affermare che:
- ” in primo luogo, nega che, come invece era stato sostenuto dal pubblico ministero nel proprio ricorso, il produttore avrebbe dovuto «effettuare tutte le analisi necessarie ad escludere la presenza delle sostanze appartenenti alle classi di pericolo, o, in alternativa, classificare lo stesso come pericoloso» (tesi definita come “della certezza” o della “presunzione di pericolosità”);
- in secondo luogo, tuttavia, sostiene che, in presenza di informazioni insufficienti sulla composizione del rifiuto, non spetti all’accusa provarne la pericolosità, ma competa, invece, al produttore o detentore del rifiuto «raccogliere tutte le informazioni possibili» per attribuire il codice appropriato, anche, ma non soltanto, attraverso l’effettuazione di indagini analitiche sulle (sole) sostanze che potrebbero essere ragionevolmente presenti.“