La Corte di Cassazione attraverso l’ordinanza del 25 marzo 2019, la n. 8301, si è espressa riguardo alla classificazione del trauma da rapina, se lo stesso è inquadrabile come infortunio o malattia professionale.
Il caso nasce da una lavoratrice che ricorre in giudizio contro l’INAIL per vedersi indennizzare il 10% di inabilità per il trauma emotivo derivato da una rapina subita mentre lavorava. Giacché il Tribunale accolse l’istanza, l’INAIL impugna davanti alla Corte d’Appello. Il giudice di secondo grado ha giudicato fondato il ricorso dell’INAIL, reputando inapplicabile la normativa del D.lgs. n. 38/2000, in quanto il fatto è stato all’origine di un infortunio e non di una malattia professionale.
Il 10% di inabilità non era considerabile sufficiente per ottenere la prestazione economica richiesta, essendo inquadrato nella fattispecie nella disciplina del D.P.R. n. 1124/1965, che necessita, almeno, dell’11% di inabilità.
Da qui il ricorso in Cassazione della lavoratrice.
Gli Ermellini, hanno ritenuto infondato il ricorso, rifacendosi all’indirizzo giurisprudenziale in base al quale “la nozione legale di causa violenta lavorativa comprende qualsiasi fattore presente nell’ambiente di lavoro in maniera esclusiva o in misura significativamente diversa che nell’ambiente esterno, il quale, agendo in maniera concentrata o lenta, provochi (nel primo caso) un infortunio sul lavoro o (nel secondo caso) una malattia professionale”.
Ne consegue che la rapina, in quanto atto doloso compiuto da terzi, è certamente configurabile come causa violenta e concentrata, potenzialmente dannosa per la salute di chi la subisce, quindi causa di infortunio ex art. 2, D.P.R. n. 1124/1965, mentre la non immediata percezione delle reali origini dello stato invalidante non influisce sulla qualificazione dell’evento come malattia professionale.