La recentissima sentenza della Cassazione Penale Sez. IV n. 21064 del 31.05.2022 fornisce l’occasione per tornare sulla questione sempre dibattuta della responsabilità datoriale in caso di infortunio sul lavoro grave o gravissimo.
Nel caso de quo si è trattato del decesso di un bracciante agricolo causato da una “iperpiressia da colpo di calore” accusata nel corso dello svolgimento della propria attività lavorativa.
Ebbene la Corte, nel caso scrutinato, ha ritenuto che “le previsioni del DVR adottato dalla ditta fossero congrue rispetto alle mansioni svolte dai braccianti agricoli occupati nel vigneto, indicando adeguate misure di miglioramento delle condizioni ambientali di rischio, vale a dire limitare i tempi di esposizione a fattori sfavorevoli, dotare i lavoratori di adeguati indumenti di lavoro ed apprestare idonei locali o ripari per il ristoro degli addetti”, confermando l’assoluzione del datore di lavoro già sancita dalle precedenti sentenze di merito di primo e secondo grado.
Gli spunti di riflessione offerti dai Giudici di legittimità nella sentenza in commento ci consentono di ripercorrere brevemente, attraverso gli arresti giurisprudenziali più recenti, l’evoluzione della giurisprudenza sulla tematica della salute e sicurezza sul lavoro.
In buona sostanza il datore di lavoro che adotta correttamente tutte le misure di prevenzione e protezione previste dal T.U. provvedendo al loro costante monitoraggio e aggiornamento e ancor di più nel caso di adozione e completa attuazione del modello di organizzazione e gestione, deve essere assolto da responsabilità in caso di infortunio grave o gravissimo.
Sul punto, infatti, la giurisprudenza recente della Corte di Cassazione aveva già ricordato che ”l’efficacia e l’idoneità del modello non può essere automaticamente messa in dubbio per il solo fatto che si è verificato un incidente: la responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio accaduto sussiste solo se è provato che la mancata neutralizzazione di alcuni pericoli è avvenuta per effetto di scelte aziendali specifiche e, in ogni caso, l’efficacia del modello deve essere valutata in concreto alla luce di tutti gli elementi conoscibili al momento della sua proposizione” (Cass. pen. n. 25977 del 13.06.2019).
Ma già da tempo l’evoluzione giurisprudenziale ha permesso di affermare come il sistema della normativa sulla sicurezza sul lavoro si stia trasformando lentamente da un modello c.d. “protettivo” interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro che, in quanto soggetto garante era investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori – non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei ma anche controllando ed imponendo la sua volontà, sull’effettivo utilizzo dei dispositivi medesimi – ad un modello c.d. “collaborativo” in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti.
Si segnala in merito una significativa pronuncia della Corte Suprema che ha ricordato come “se da un lato l’azienda deve porre in atto ogni iniziativa volta a prevenire gli infortuni, d’altro lato il datore non può essere ritenuto responsabile qualora l’evento non è dovuto a sua colpa e tanto più che il dipendente aveva volutamente ignorato i segnali di attenzione posti in azienda” (Cass. pen. n. 14066 del 23.05.2019).
Le tendenze giurisprudenziali recenti si dirigono verso una maggiore considerazione della colpa dei lavoratori, ferma restando comunque la responsabilità del datore, laddove la carenza dei dispositivi di sicurezza o anche la mancata adozione degli stessi da parte dei lavoratori non può essere sostituita dall’affidamento sul comportamento prudente e diligente di questi ultimi.
A cura dell’avv.to E. Pagliaro – Centro Studi CNAI