La Corte di Cassazione, in continuità con il precedente indirizzo già espresso, ha ribadito
nella recentissima sentenza n. 10128 del 17.04.2023 che “la nozione legale di D.P.I. non
deve essere intesa come limitata alle attrezzature appositamente create e
commercializzate per la protezione di specifici rischi alla salute in base a caratteristiche
tecniche certificate, ma va riferita a qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che
possa in concreto costituire una barriera protettiva rispetto a qualsiasi rischio per la
salute e la sicurezza del lavoratore, in conformità con l'art. 2087 c.c.”.
Nella sentenza in parola i Giudici di legittimità hanno precisato anche – in relazione alla
particolare fattispecie in esame – che “la categoria dei D.P.I. deve essere quindi definita
in ragione della concreta finalizzazione delle attrezzature, degli indumenti e dei
complementi o accessori alla protezione del lavoratore dai rischi per la salute e la
sicurezza esistenti nelle lavorazioni svolte, a prescindere dalla espressa qualificazione in
tal senso da parte del documento di valutazione dei rischi e dagli obblighi di fornitura e
manutenzione contemplati nel contratto collettivo”.
Tali argomentazioni appaiono oltremodo categoriche nel sancire la non rilevanza
dell’inserimento degli indumenti da lavoro come specifici D.P.I. nel documento di
valutazione rischi in quanto l’obbligo normativo di fornire al lavoratore idonei dispositivi
di protezione costituisce un precetto al quale il datore di lavoro è tenuto a conformarsi a
prescindere dal fatto che il loro utilizzo sia specificamente inserito nel D.V.R. redatto dal
medesimo datore.
Nel caso in questione, inoltre, la Corte ha ritenuto che vi è l’obbligo del datore di lavoro
non solo di fornitura degli indumenti di lavoro – reputati, in relazione alle lavorazioni
svolte, uno strumento idoneo al costituire una barriera protettiva contro i rischi alla salute
e pertanto inquadrabili nella categoria dei D.P.I. – ma anche del loro mantenimento in
stato di efficienza attraverso il lavaggio degli stessi a suo esclusivo carico.
In conclusione la Corte Suprema offre ancora una volta agli operatori del settore alcuni
spunti di riflessione diretti a favorire una interpretazione della normativa sulla salute e
sicurezza sul lavoro che tenga sempre conto della finalità ultima della norma e cioè della
tutela della salute quale bene primario in linea con il dettato dell’art. 32 della nostra
Costituzione.
A cura dell’avv.to E. Pagliaro – Centro Studi CNAI